La cucina sarda riflette la sua cultura plurimillenaria e stratificata, valore aggiunto anche dell’ampia produzione di dolci tradizionali. A seconda dei territori variano nomi, forme e dettagli delle ricette, gli ingredienti di base sono identici, semplici e aromatici. Ne derivano prelibatezze dal sapore intenso, come la celebre seada o sebada, formata da due dischi di pasta sovrapposti con un ripieno di formaggio filante acidulo, aromatizzato con scorza di arancia o limone. Dopo l’immersione e la frittura nell’olio bollente, si cosparge di miele, preferibilmente di corbezzolo, ed è servita calda, croccante. Affonda le origini nella cultura agropastorale barbaricina, quando i pastori facevano ritorno a casa dopo la transumanza, accolti dal calore familiare. Perfetti per tutte le occasioni sono i biscotti di Fonni, simili ai savoiardi ma più morbidi e profumati al limone o vaniglia. Nel Campidano sono diffusi col nome di pistoccus. Per prepararli servono uova, zucchero e farina. Ideali per colazione sono is pistoccheddus grussus, biscotti secchi, leggeri e friabili. L’origine è nei paesi attorno al Monte Linas, dove sono chiamati gallettinas. Per merenda, niente di meglio di una torta di ricotta o un antico dolce, su papai biancu, già confezionato nel Medioevo a Cagliari: un budino al latte dolcificato con mandorla e limone.
Immancabili in tutte le celebrazioni sono gli amaretti, ‘scrigni’ dorati e croccanti di sapori inimitabili. Sono fatti a base di mandorle, dolci e amare, miscelate secondo precisa, imprescindibile proporzione. Nel nord Sardegna, all’impasto di mandorle, albumi e zucchero si aggiunge la sapa, il ‘vincotto’, denominatore comune dei dolci di Ognissanti. A iniziare dal pan’e sapa, antico esempio di pane ‘trasformato’ in dolce, diffuso nel basso Campidano e nel Nuorese. È caratterizzato da lunga lievitazione, colore scuro e sapore intenso di mosto cotto e cannella. La forma è circolare, come una torta. Strettamente legati al primo novembre sono sos ossus de mottu (ossa di morto), mentre nascono come dolci autunnali, ma sono diventati ‘per tutte le occasioni’, sos pabassinos (nel centro-nord) o is papassinus (nel sud). Il nome deriva da papassa, l’uva passa che impreziosisce l’ impasto di farina, uova, strutto, mandorle e noci. Questi biscottini di pasta frolla dal sapore inconfondibile sono ricoperti di glassa e cosparsi di confettini argentati o spennellati col tuorlo prima della cottura. Nel Campidano sono aromatizzati con cannella, vaniglia o sapa, nelle Barbagie e Logudoro con scorze di agrumi, semi di finocchio selvatico o anice.
Anche sas tiliccas sono dolci novembrini, originarie del centro-nord, oggi diffuse ovunque con vari nomi, tra cui spiccano le celebri caschettas di Belvì. Una sottilissima sfoglia croccante di pasta violada custodisce un ripieno di mandorle e miele (o sapa), con scorza d’arancia e zafferano. Le forme variano: ferro di cavallo, cuore, spirale o lettere. A Dorgali e Mamoiada si preparano per i fuochi di sant’Antonio, insieme a un'altra delizia: su pistiddu, con ripieno di sapa tipico anche delle copulettas, dolcetti di Ittireddu e Ozieri, dalla caratteristica forma a fiore o mezzaluna. L’origine è legata a matrimoni e battesimi: si incidono sopra le iniziali degli sposi o del bimbo battezzato. Tipico del Natale è il torrone, morbido e dolcissimo. Tonara è la sua patria. Le prime notizie de su turroni tonaresu sono di fine XIX secolo, col tempo è diventato una specialità affermata a livello nazionale. Elemento caratterizzante è il miele - millefiori, di corbezzolo o eucaliptus - fatto squagliare a fuoco lento in un paiolo in rame. L’impasto viene rimestato per quattro ore, senza zucchero. Poi si aggiungono mandorle o nocciole o noci. Potrai scoprire l’arte della preparazione nella sagra del torrone, il giorno di Pasquetta, a Tonara. Mentre a Oristano si preparano is mustazzolus, mostaccioli a forma di rombo, morbidissimi, con aroma di cannella e limone, ricoperti di glassa. Sono forse il più antico biscotto sardo: un tempo la lievitazione durava due settimane, caratteristica che li differenziava dai mostaccioli della Penisola.
A Pasqua è tempo di casadinas. Il nome viene da casu, il formaggio fresco e ‘deciso’, usato nelle Barbagie e nel Logudoro per il loro ripieno, insieme all’ uva sultanina. Nel Sassarese e in Gallura sono note come casgiaddine e casgiatini (formagelle). Nel Campidano e nel Sulcis è più comune l’uso delle ricotta al posto del formaggio, aromatizzata con limone e zafferano, senza uvetta. Il nome è sas pardulas, ‘piccoli cestini’ di pasta sottile con dentro un morbido ‘cuore’ e sopra una spolverata di zucchero a velo. Tipici campidanesi sono anche is pirichittus, frolla all’uovo ricoperta di croccante glassa aromatizzata al limone. L’interno può essere vuoto, nei pirichittus de bentu o pieno di pasta di mandorle nei pirichittus prenus o a matza de mindua. Simili sono is pistoccheddus de cappa o incappaus, ricoperti da una glassa bianca. Sono modellati in varie forme: i più celebri sono is pistoccheddus di Serrenti, con forme di animali. Per Pasqua si preparano anche con le uova, una versione dolce de su coccoi cun s’ou, un pane di varie forme arricchito con uova sode. Noti anche come marigosos, suspiros, giarminos e gesminus, i bianchini (o bianchetti) assomigliano alle meringhe di altre regioni ma se ne discostano per gusto e consistenza. Si presentano come una piramide mossa e increspata, bianca e friabile, dal ripieno tenero e cremoso. Si ottengono montando ‘a neve ferma’ gli albumi con zucchero, limone e mandorle. Poi sono adornati con confettini argentati o colorati.
I dolci destinati alle cerimonie sono opere d’arte, decorate dalle abili mani de sas drucceras, le casalinghe-pasticcere. Ne sono emblema is pastissus, confezionati nel Cagliaritano: pastine di sfoglia sottilissima con farcitura morbida alle mandorle. Abbelliti da decorazioni floreali dette s’indoru, sono chiamati per la loro raffinatezza anche pastine reali. A Borore, nel Marghine, diventano capigliettas, nell’alto Oristanese timballinas. Un senso di solennità emanano is candelaus, dolcetti alle mandorle a forma di candeline o scarpette, usati per battesimi, cresime e matrimoni. Immancabili nelle cerimonie sono gueffus (da guelfi) o sospiri, palline di pasta di mandorla dal sapore raffinato e corposo, cosparse di zucchero e avvolte come caramelle nella carta colorata. Nelle Barbagie esiste una versione ridotta: sos bucconettes (bocconcini), con nocciole anziché mandorle. L’aranzada accompagna battesimi e matrimoni barbaricini, esaltando il gusto dell’arancia con dolcezza del miele e croccantezza delle mandorle. Capolavori di mandorle, al profumo di limone, sono i gattò (o catò), citati da Grazia Deledda e lavorati anche in composizioni monumentali. Sos coriccheddos (cuoricini) sono dolci-gioiello di Nuoro, così come i durches de s’isposa che la sposa riceveva in dono da suocera, madre o madrina. Il miele, protagonista indiscusso dei dolci barbaricini, è usato anche nel Goceano, per esempio in sos pinos, pastelle tonde lavorate col miele e fritte.
Sapori intensi e fritture sono tipici del Carnevale dell’Isola. Is zippulas, le zeppole del Campidano, sono deliziose frittelle di forma allungata, con base di zafferano e buccia di agrumi, aromatizzate con vernaccia. Diventano sas cattas nelle Barbagie, li frisjoli nel Sassarese e frisgioli longhi in Gallura. Variano per ricetta e forma is parafrittus o frati fritti (chiamati per errore fatti fritti), tondi col buco al centro. A volte le frittelle sono ripiene di crema o miele con profumo di filu ‘e ferru o abbardente. Gustosissimi sono sos rujolos, palline fritte al formaggio, tipiche del Nuorese. Ruioli, arrubiolos, orrubiolus sono le varianti di nome e territorio. Il nome richiama i ravioli e ritorna in prelibatezze del sud: is cruxioneddus de mindua sono ravioletti fritti con ripieno di mandorle, a volte sostituite da crema o ricotta. Specialità legata al mondo agropastorale, specie all’allevamento domestico del maiale, sono is culingionis de sambene dulche, che custodiscono un ripieno di sanguinaccio (sangue di maiale dolce). I più amati dai bambini sono li acciuleddi, originari della Gallura: pastella fritta a forma di treccina, ricoperta con miele (o zucchero) e coriandoli colorati. In alcuni centri diventano mangadagas o trizzas, simili a spaghetti impregnati di miele, ripiegati e arrotolati fino a diventare una treccia. Simili sono le orillettas, una versione sarda delle chiacchere di altre regioni, originarie della Baronia ma diffuse ovunque., Croccanti e deliziose, allegre e leggere, come l’atmosfera di festa che creano.