Le sue particolarità costruttive sono un mistero: non è chiaro se siano state operate volutamente oppure qualche segreto debba essere ancora svelato da future campagne di scavo. Il pozzo sacro di Tattinu sorge tra i boschi e le distese di asfodeli dell’omonima località alle pendici del monte Tamara, nel territorio di Nuxis, piccolo centro del Sulcis, disseminato di testimonianze del passato. La prima e più evidente singolarità rispetto ai ‘canonici’ pozzi sacri nuragici è l’apparente assenza del vestibolo e di qualsiasi altra struttura a vista. Le scale, con 28 gradini, formano un vuoto rettangolare con il vano d’acqua, lungo poco più di otto metri e largo poco più di uno. Il pozzo vero e proprio ha una sezione ‘a bottiglia’ con pianta ellittica, anch’essa inusuale. È alto circa cinque metri ed è coperta a tholos. Per costruirlo sono stati usati blocchi di calcare con l’inserimento di ciottoli. Forse a causa di cedimenti la struttura fu rinforzata in un secondo momento con l’aggiunta di un doppio architrave. I reperti rinvenuti, tutti in ceramica - olle globoidi e ollette ovoidi, vasi con ansa a gomito rovescio, scodelle e ciotole -, hanno permesso una datazione del sito al Bronzo finale (XII-X secolo a.C.). Connesso all’area sacra, poco più a sud, sorgeva il villaggio: noterai tracce di strutture a pianta circolare, ovale e mista, mentre a sud-est del nucleo si conserva un tratto murario.
Poche centinaia di metri in linea d’aria separano il pozzo sacro nuragico da uno dei gioielli dell’architettura religiosa sarda di età bizantina: la chiesa di sant’Elia di Tattinu. Le sue origini risalgono attorno all’anno mille, le sue dimensioni ridottissime, dieci metri per nove, la sua pianta a croce greca, soluzione presente in pochi altri casi nell’Isola. Decorazioni esterne e arredi interni sono semplici: osserverai una cornice di lastrine sporgenti che corre lungo il perimetro appena sotto gli spioventi del tetto e un piccolo campanile a vela che sormonta la facciata. Nuxis conserva tracce del passato che partono dal Neolitico per arrivare a miniere e impianti di archeologia industriale. Nella frazione Acquacadda sorge l’omonima necropoli risalente alla cultura Monte Claro (seconda metà del III millennio a. C.), mentre alcune domus de janas compaiono nelle località Pranedda e is Pillonis. Le principali miniere erano sul monte Tamara e a sa Marchesa, dove fino alla seconda metà del XX secolo si estraevano argento, piombo, rame e zinco.