Fu centro spirituale di un piccolo villaggio, poi principale abbazia dell’ordine vallombrosano in Sardegna, successivamente abbandonato e dimenticato, fu trasformato perfino in deposito e stalla, prima della riscoperta e del ritorno alla funzione religiosa. La chiesa di san Michele di Plaiano sorge a circa dieci chilometri da Sassari, lungo la strada che conduce al litorale di Platamona. Qui, in epoca giudicale, sorgeva l’antico villaggio di Plaiano.
La storia della chiesa affonda le sue radici nel 1082, quando il giudice di Torres Mariano I concesse le terre e il titolo all’Opera di Santa Maria di Pisa. Pochi decenni dopo la chiesa passò ai monaci camaldolesi di San Zeno, che la elevarono ad abbazia. Fu durante il possesso dei vallombrosani che San Michele di Plaiano raggiunse l’apice della sua ricchezza e potere: i possedimenti comprendevano terreni, vigne, servi e altre quattro chiese alle dirette dipendenze. Il declino iniziò con l’abbandono improvviso dell’abbazia da parte dell’Ordine nel corso del XV secolo, forse a causa di guerre, carestie e del progressivo spopolamento del villaggio. La chiesa passò alla diocesi di Ampurias, poi all’Inquisizione spagnola, all’ospedale di Sassari e infine a privati e al Credito fondiario sardo, periodo nel quale – in pessime condizioni di conservazione - fu adibita a deposito di attrezzi e ricovero animali. I progetti di recupero della struttura iniziarono intorno alla metà del XX secolo, per poi essere restituita al culto e tornare a essere, in anni recenti, chiesa di riferimento dell’area.
L’ edificio fu eretto in conci di calcare, a pianta longitudinale e con copertura in legno. L’aula è a navata unica, l’abside è stato demolito – probabilmente durante il periodo di possesso da parte di privati – per far posto a una struttura addossata al retro, e anche sul lato sud, dove anticamente dovevano trovarsi gli ambienti del convento, oggi si trovano costruzioni più recenti. Il lato nord e la facciata conservano i tratti romanici, ma risalgono a fasi costruttive diverse fra loro. Le monofore gradonate, le lesene e gli archetti della parete sono gli elementi più antichi dell’edificio, mentre la parte restante risale alla fase camaldolese. La facciata, in particolare, fu rifatta dopo il 1115: è strutturata in un unico ordine con timpano separato da una cornice, nel quale trovano posto una falsa loggia e una bifora. Noterai tre arcate cieche, con il portone architravato che si apre al centro di quella mediana. Completano la decorazione formelle contenenti motivi geometrici, in origine intarsiati.