A metà del XIV secolo, durante un’epidemia di peste che colpì il territorio storico del Meilogu, una famiglia di Thiesi andò a vivere fuori dal paese per evitare il contagio. Il piccolo della famiglia, Antine – in logudorese diminutivo di Costantino -, secondo un racconto popolare, aggirandosi tra i campi scoprì una cavità con stupende decorazioni pitturate, ne parlò ai genitori come di una ‘reggia’ e prese a frequentarla sempre più spesso. Rimasto orfano, ci si trasferì, vivendo in compagnia delle Janas, mitiche fate che abitavano gli anfratti scavati nella roccia. Qui fu trovato privo di vita, con gli occhi sbarrati, intento fino all’ultimo istante ad ammirare le pitture. Sin qui la leggenda, assolutamente reali, invece, sono le straordinarie decorazioni che adornano le pareti di una delle quattro sepolture della necropoli di Mandra Antine, cioè ‘il rifugio di Antine’. Le pitture sono allo stesso tempo un enigma e un fenomeno rarissimo: in tutto il bacino del Mediterraneo, in pochi casi sono state rinvenute decorazioni policrome all’interno di una tomba preistorica.