Una ‘cappa’ di inquietudine e mistero aleggia su Lollove, luogo senza tempo, inserito nel club dei borghi più belli d'Italia. Ti avvolgerà mentre passeggi tra ripide e strette viuzze in acciottolato e case in pietra grigia inerpicate sul declivio di una collina, da cui godrai del panorama sulla vallata sottostante. Poche abitazioni sono intatte, molte in rovina: hanno tetti a spioventi, coperti da tegole d’argilla, laddove non sono crollate, finestre con vasi di fiori e porte con architravi. Dentro, immancabili sono camino e forno a legna. L’atmosfera ti porterà a immaginare come dovesse essere il villaggio quando era animato da una vita fuggita altrove, scandita dal ritmo lento di natura e duro lavoro nelle vigne. Ora regna un silenzio surreale che evoca racconti antichi. Gli anziani rimasti narrano che una o più francescane ‘penitenti’ dell’antico monastero di via Bixio, cui faceva capo la seicentesca l’ex parrocchiale tardo-gotica di Santa Maria Maddalena, furono accusate di rapporti carnali con pastori locali. Scoperto lo scandalo, le monache, sdegnate per infamia e comportamento delle consorelle, abbandonarono il villaggio scagliandogli contro una maledizione: “Lollove sarai come l’acqua del mare, non crescerai né mostrerai (di crescere) mai!”. La leggenda è divenuta realtà: il borgo è rimasto sempre piccolo pur resistendo in eterno alla scomparsa, grazie alla tenacia di pochi abitanti dediti ad agricoltura e allevamento. Nel corso del XX secolo, il suo fascino ha ispirato artisti e scrittori: Grazia Deledda ci ambientò ‘La madre’ (1920), romanzo incentrato sulla storia proibita tra un giovane prete e la bella Agnese, a ribadire l’aura peccaminosa e oscura del borgo.
I ‘vecchi’ sostenevano che Loy (nome aragonese del paese fino al XIX secolo) nacque prima e fu più grande di Nuoro. Si riferivano al Medioevo, quando nelle valli dei fiumi Cedrino e Sologo era il maggiore di tanti villaggi. Fu Comune fino a metà XIX secolo, ora è l’unica frazione del capoluogo. Nel 1950 contava oltre 400 abitanti, oggi 26. Si apre ai visitatori e si anima nelle feste religiose: per l’antica patrona santa Maria Maddalena (a fine luglio), per l’attuale patrono San Biagio (a inizio febbraio), per San Luigi dei Francesi (a fine agosto) e Sant’Eufemia (a metà settembre): Gli ultimi tre sono santi curatori: i pellegrini vi si recavano in cerca di guarigione. Anche a novembre il borgo si accende, in occasione di Vivilollove, tappa di Autunno in Barbagia: in mostra pratiche, un tempo quotidiane, artigianali, di panificazione e preparazione di pietanze. Nel resto dell’anno, solo poche voci in lontananza, capre, cavalli e gatti. Non c’è medico, né scuole, né ufficio postale. Non esistono negozi e bar. Solo a fine XX secolo è arrivata l’energia elettrica. C’è la piccola parrocchiale di San Biagio, impreziosita da rosone e portale in trachite rosa, ma con un prete, che arriva ogni domenica dal capoluogo. Non è un paese-fantasma semplicemente perché ci vive ancora qualcuno e l’atmosfera è esattamente quella dei villaggi rurali medioevali della Sardegna centrale.