Oggi come allora crocevia marittimo e porta d’accesso al nord-ovest, Turris Libisonis fu l’antenata di Porto Torres. I romani fondarono l’antica città al centro del golfo dell’Asinara, accanto alla foce del fiume Mannu, dove fu impiantato un porto. Il bacino portuale fu poi spostato dove oggi sorge la Darsena dello scalo moderno: Turris era cruciale nelle rotte tra Urbs e Mediterraneo nord-occidentale, nonché stazione di importanti viae. Il toponimo farebbe riferimento a una torre nuragica, del resto, l’area attorno ha una concentrazione di nuraghi tra le più alte nell’Isola. Plinio il Vecchio fu il primo a citare Turris Libisonis, che compare poi nella Geographia di Tolomeo, in autori tardo-antichi e in vari miliari. La colonia, unica sarda costituita esclusivamente da cittadini romani, si fregiava dell’appellativo Iulia, fondata forse da Giulio Cesare in persona o da Ottaviano. Ad abitarla inizialmente furono militari congedati, un secondo contingente di coloni giunse dopo pochi decenni.
A fine I secolo d.C. la città era dotata di porto, acquedotto e terme, nel foro s’affacciavano Campidoglio, curia, templi e basilica con annesso tribunale e nelle epigrafi è attestato anche un edificio per spettacoli. Opere pubbliche, urbanizzazione e magazzini ai margini dell’abitato testimoniano la prosperità in età imperiale. Al culmine dello sviluppo, a inizio III secolo, grazie a traffici marittimi, attività agricola, estrattiva, artigianale e pesca, la colonia era seconda solo a Caralis per abitanti e magnificenza, tanto che ospitava alcuni mesi all’anno il governatore della provincia. Esportava e importava prodotti con tutto il mondo allora noto. All’attività mercantile era legato il culto per Iside, protettrice dei marinai, documentato dall’ara di Bubastis e da un altare esposto al museo Sanna di Sassari.
Il passato glorioso di Porto Torres è custodito nel parco archeologico della città: ammirerai resti di edifici pubblici e abitazioni riunite in isolati, vie lastricate e tabernae (botteghe), in parte inglobate nell’Antiquarium turritano, museo che custodisce i reperti di decenni di scavi. Nel parco osserverai tre impianti termali: le più significative sono le terme centrali, di cui rimangono le mura esterne. Note come palazzo di re Barbaro, governatore che martirizzò i santi turritani Gavino, Proto e Gianuario, in realtà erano pubbliche con ambienti decorati a mosaico. Delle terme Maetzke (archeologo che le scoprì) rimane una sala. Gli impianti termali sono sovrapposti a ville patrizie più antiche: la domus di Orfeo, con intonaci dipinti e mosaici pavimentali, tra cui il più prezioso ritrae Orfeo che suona la lira; la domus dei mosaici, caratterizzata dall’inconsueta struttura ‘a ventaglio’; e la domus del satiro, da cui proviene una maschera marmorea esposta nell’Antiquarium. Anche le terme Pallottino, di fine III secolo, prendono nome da chi ne scavò i tre vani superstiti, e si affacciano sul peristilio Pallottino, portico che dava accesso alle botteghe del foro: ne restano quattro colonne. Il peristilio sorge lungo la strada per il ponte, opera quasi interamente conservata che tuttora, a duemila anni dalla nascita, ‘cavalca’ il Mannu. Lungo 135 metri e impostato su sette arcate, il più grande ponte romano dell’Isola collegava la città con campagne e miniere della Nurra.
L’approvvigionamento idrico era assicurato da un acquedotto che captava le sorgenti di san Martino e correva parallelo all’attuale statale 131, parte interrato, parte in elevato. Vedrai tratti del tracciato, il più lungo di 105 metri. Le dimensioni dell’abitato sono note solo in parte ma un preciso indizio arriva dalle necropoli, scavate necessariamente fuori dalle mura della città. La necropoli occidentale ha restituito tombe in anfora, alla cappuccina e in cassone; quella meridionale è sotto l’attuale centro: 50 tombe ad arcosolio tra sarcofagi e fosse, comprese le sepolture del Nautico e di via Libio. A oriente, sul lungomare, si susseguono: il complesso funerario di Scogliolungo, le tombe di Balai, le 32 sepolture coperte da lastre marmoree con affreschi e mosaici di Tanca Borgona e i monumenti funebri di san Gavino a mare, sopra i quali fu eretta la basilica di san Gavino. La crescita di Turris si arrestò con la crisi dell’impero d’Occidente, al lento declino contribuirono l’invasione vandalica (V secolo), la riconquista bizantina (VI), la minaccia longobarda, il dominio arabo nel Mediterraneo, infine la nascita dei giudicati. Sede vescovile sin dal 484, Turris rimase tale per tutto il Medioevo.