Cava di blocchi di calcare, sito di culto fenicio, deposito di anfore, luogo di devozione cristiana, rifugio nella Seconda guerra mondiale. La cripta di Santa Restituta, uno dei simboli del pittoresco quartiere di Stampace, ha avuto una storia travagliata, scandita da momenti di abbandono e chiusa col lieto fine del definitivo restauro negli anni Settanta del XX secolo.
L’ipogeo ha un ambiente centrale collegato con l’esterno da due scalinate scavate nella roccia. Le pareti erano dipinte: si conserva quella con San Giovanni Battista in segno di benedizione con la destra (XIII secolo). Sull’altare maggiore c’è la statua marmorea di Santa Restituta, in quello minore stavano i simulacri delle sante Giusta, Giustina ed Enedina. Che sia scavato nella roccia, lo senti nelle ossa appena varchi l’ingresso, nella piazzetta omonima a pochi passi dalla cripta di Sant’Efisio.
In parte è una grotta naturale, in parte è scavata. In età tardo-punica fu una cava di calcare. Poi, come risulta dal ritrovamento di oggetti votivi, sarebbe diventato luogo di culto. La grotta fu frequentata anche in epoca romana e paleocristiana, usata come deposito di anfore fino al I secolo d.C., successivamente abbandonata per dodici secoli. Nel XIII il luogo fu consacrato alla martire di origine africana Santa Restituta, le cui reliquie erano in Sardegna dal V secolo. Seguì un altro abbandono, per la nascita delle nuove e vicine chiese di Sant’Anna e San Francesco. Agli inizi del Seicento la riscoperta. Dopo il ritrovamento delle reliquie (1614), il vescovo avviò lavori di abbellimento dell’altare, la creazione di tre nicchie e della sottostante cripta con la colonna del martirio. L’edicola centrale ospitava le reliquie delle quattro sante.
Nel corso del secondo conflitto mondiale l’ipogeo fu usato come rifugio durante i bombardamenti. Le reliquie vennero nascoste in Sant’Anna per proteggerle. Se ne perse memoria fino al ritrovamento nel 1997 all’interno di un’urna seicentesca.