Al mattino, mentre dal monastero adiacente risuonano canti gregoriani intonati da eteree voci maschili, nella chiesa il sole nascente penetra da tre finestrelle dell’abside rischiarando l’altare e infondendo sensazione di raccoglimento ed estasi mistica. La luce esalta le forme armoniche ed eleganti dell’ex cattedrale di san Pietro di Sorres, bellissima architettura romanico-pisana eretta in cima a un colle vulcanico, vicino a Borutta e alla statale 131, dove noterai resti di un nuraghe e di tombe bizantine. L’edificazione avvenne in più tempi: i lavori, iniziati tra 1171 e 78, quando già esisteva l’abitato di Sorres, terminarono nella prima metà del XIII secolo. Su un gradino del portale è scolpita la scritta Mariane maistro, forse firma del ‘direttore’ dei lavori. La chiesa, sede episcopale per oltre tre secoli, fu l’unico edificio a rimanere in piedi quando Sorres fu rasa al suolo dagli aragonesi. La popolazione si riversò a Borutta, nuova residenza del vescovo. Nel 1503 la diocesi sorrense fu incorporata in quella di Sassari, nei secoli successivi, l’ex cattedrale fu abbandonata. Grazie ai restauri di fine XIX secolo divenne monumento nazionale, mentre a metà XX, ritornò agli antichi splendori e accanto fu costruito, in stile neoromanico, l’attuale monastero benedettino, abbazia dal 1974.
Le fasi costruttive si riflettono nella veste architettonica: parti in calcare e pietra vulcanica si sovrappongono a pilastri in muratura. L’esterno è caratterizzato dalla bicromia alternata di arenaria chiara e basalto scuro. Garantiscono omogeneità al complesso le decorazioni geometriche: rombi e ruote a giri concentrici corrono lungo tutto il perimetro. Fianchi e abside sono impreziositi da ‘ricami’ decorativi nella pietra: colonnine, archetti pensili, mensole, fregi, intarsi e strombature. La facciata è ripartita in quattro livelli, i primi tre ritmati da arcate e finte logge, l’ultimo, liscio, termina con un timpano con al centro un occhio circolare con croce in pietra. L’interno è diviso in tre navate: la centrale separata dalle laterali minori da due file di otto pilastri cruciformi, sui quali si innestano le arcate della copertura a crociera. Gli archi ‘centrali’ sono a tutto sesto, quelli laterali a sesto rialzato, per contenere le spinte delle volte, come una vela gonfiata dal vento. Sul presbiterio sopraelevato è posto l’altare maggiore, alle spalle la nicchia che fungeva da cattedra vescovile. La luce, oltre che dalle finestrelle in facciata e nell’abside, penetra da monofore sulle pareti: filtra la luce ‘necessaria’, lasciando la silenziosa penombra che invita alla preghiera. La navata sinistra ospita una quattrocentesca Madonna col Bambino, venerata come regina del Meilogu. Nell’ambone si trova un pulpito marmoreo ‘gotico’, forse del XIV secolo. In fondo all’edificio noterai un sarcofago: la tradizione lo identifica col sepolcro del beato Goffredo, vescovo che fece erigere la cattedrale, un ‘tempio’ intriso di simbolismo. La metafora è la chiesa quale ‘nave di Pietro’ protesa verso il Signore risorto. L’orientamento ovest-est fa compiere al fedele un cammino da tramonto ad alba, da morte a vita, da peccato a grazia. L’apice, nell’ambone, è la tomba vuota di Cristo, annuncio della Pasqua. Anche le statue sono cariche di significati.
Di recente la chiesa, oggi abbaziale, è stata arricchita anche da opere moderne: coro ligneo, organo, altare in pietra, tabernacolo ispirato a modelli medioevali e Crocifisso pensile in bronzo dorato. Prima erano state aggiunte casa canonica e sacrestia, da cui, attraverso un andito, giungerai nella sala capitolare che ospita una via crucis dipinta da Aligi Sassu. I monaci hanno attrezzato la foresteria per l’accoglienza: vi organizzano corsi per sacerdoti e settimane di ‘ritiro’ e liturgia. Nel monastero è allestito il museo della cattedrale di Sorres, che illustra la storia della diocesi tra opere d’arte e manufatti architettonici. La sezione archeologica è riferita a preistoria ed epoca romana, in particolare alla grotta Ulari – posta alla base del colle del monastero -, abitata dal Neolitico e usata come luogo di sepoltura. Anche il villaggio originario, Gruta (da cui Borutta), prende nome dalla grotta. La festa più sentita del paese (29 giugno) prevede una processione dalla parrocchiale all’ex cattedrale. Dentro il borgo è da visitare l’oratorio di santa Croce (XII secolo), originaria rettoria, saltuaria sede dagli ultimi vescovi di Sorres.