Ognuna col suo rito di preparazione, gesti meticolosi e codificati, sempre gli stessi, tramandati di madre in figlia. Le paste della tradizione, secche e fresche, sono trait d’union tra quotidianità e celebrazioni, immancabili nei momenti da ricordare e protagoniste nelle tavole di tutti i giorni, a casa, in ristorante e negli agriturismo. La loro origine si perde nel tempo: sono stati ritrovati semi di grano persino nei nuraghi, non è un caso se poi la Sardegna è diventata il ‘granaio di Roma’. La tradizione è stata coltivata (letteralmente) sino a oggi, generando un inimitabile e solenne mix di arte, convivialità e gusto.
Malloreddus in Campidano, cigiones o ciocioneddos nei dintorni di Sassari, macarones cravaos nel Nuorese, chiusoni in Gallura, cassulli a Carloforte. Tanti i nomi della varietà di pasta più diffusa nell’Isola, forse la più antica. Sono piccole conchiglie rigate, fatte di acqua e semola. Per darli forma e rigatura, si schiacciano i pezzetti di impasto col pollice sul fondo di un cesto di vimini. Mentre per condirli c’è tanta varietà: la versione più famosa sono i malloreddus alla campidanese, con ragù di salsiccia. In alternativa puoi assaporarli a casu furriau, con pecorino fuso, e a mazza frissa, con salsa a base di panna, oppure i maccarronis de orgiu (di orzo), con ricotta grattugiata.
È la specialità che incarna la tradizione culinaria dell’Ogliastra, capace di ottenere la denominazione IGP. Sono ripieni di patate, pecorino e menta, con alcune varianti - tipo la cipolla a Tortolì e il basilico a Villagrande Strisaili - e hanno una forma allungata con decorazioni minuziose, come il bordo, sa spighitta, che ricorda una spiga. Il condimento comune è il semplice ‘pomodoro e basilico’. Ma il valore dei culurgiones va oltre il suo ammaliante sapore, la sua ‘chiusura a spiga’ simboleggia il grano e aveva funzione propiziatoria per l’annata agraria; non solo, erano una sorta di amuleto per proteggere le famiglie dai lutti e, la notte di Ognissanti, se ne lasciava un piatto per onorare la memoria dei defunti.
Il nome viene dal latino ferculum, diventato ‘fregolo’ in volgare, cioè ‘briciola’, a indicare la ridottissima dimensione. Semola di grano duro e acqua sono gli ingredienti di questi piccoli granelli, ottenuti facendo roteare l’impasto, poi asciugati al sole su un setaccio di crine e ricoperti con un canovaccio. La fregula è ovunque in Sardegna, con gustose varianti. L’abbinamento ‘classico’ è con frutti di mare, come sa fregula cun cocciula (con arselle), specialità di Cagliari, ma viene preparata anche in minestre di pesce, verdure o carne. Nel Logudoro è tipica la ricetta de su succu istuvadu, cotta al forno. Sa fregula incasada, mantecata col pecorino, è protagonista di sagre a Castiadas e a San Basilio.
Una specialità così antica e singolare da essere protagonista di leggende popolari. Eppure gli ingredienti sono sempre quelli, semola di grano duro, acqua e sale, di particolare c’è la lunga lavorazione, di esclusivo la forma simile a un orecchino. La loro preparazione è documentata dal XVI secolo, sotto la Corona spagnola. Oggi 'vive' soltanto a Morgongiori, ai piedi del monte Arci, dove la prima domenica di agosto, durante la sagra dedicata, le gusterai col suo condimento tradizionale: sugo di pomodoro con carne di galletto ruspante, arricchito da erbe aromatiche e pecorino grattugiato.
Grazia Deledda l'ha reso immortale nei suoi racconti sulle ‘tradizioni popolari di Nuoro’, oggi il segreto de su filindeu è custodito da poche donne barbaricine. È una pietanza speciale, così carica di significati da avere un’aura mistica: da secoli viene offerta in occasione della festa di San Francesco ai pellegrini che raggiungono da Nuoro, a piedi e a cavallo, la chiesetta campestre di Lula intitolata al santo. La minestra con i ‘fili di Dio’ è un concentrato di sapori e profumi di Barbagia, il suo gusto avvolgente, dato dal brodo di pecora e dalle scaglie di pecorino, conquista il palato.